Fenomenologia



Prendiamo come esempio l’analisi di un opera d’arte seguendo
il metodo fenomenologico. Cioè vivendo l’interpretazione
dell’opera come se mi trovassi davanti a un fenomeno, come
se stessi vivendo un fenomeno, un temporale, il sole, il canto
di un uccello.
Anche la vita di tutti i giorni, ogni istante è un fenomeno.
Un fenomeno… E, di conseguenza, è possibile o forse
doveroso portare la fenomenologia a modo interpretativo, nel
vissuto di ogni cosa e di noi stessi…

Ma ritorniamo all’opera d’arte, per capirci… All’opera d’arte,
qualunque essa sia, ed “estendendola”, seguendo quanto detto
prima, all’istante di ogni vita e cosa.





ATTENZIONE “ciò che percepiamo” è spesso mediato dalla
conoscenza

(ad esempio: strati di colore che sommati danno un particolare
cromatismo, uso di materiali, o spunti, riferimenti a tematiche,
gestualità, filosofie e “modus operandi” di altri autori).

È interessante porsi all’analisi conoscitiva in due modi:

- Il primo con la “conoscenza” ( abitualmente automatico,
negli adulti), le preconoscenze, la semplice esperienza e il
gusto che si è formato…

- L’altro con la mente libera, svuotata da ogni preconoscenza,
in modo da usufruire in maniera pura dell’esperienza, cioè del
fenomeno (artistico in questo caso) che sto vivendo.


È importante sapere come la conoscenza è formata:


La nostra conoscenza del mondo esterno e come ci
rapportiamo ad esso, è formata da tre fasi:

- ciò che noi siamo

- ciò che abbiamo intorno

- l’epoca in cui viviamo












In ogni caso…
Si deve considerare l’opera d’arte nella sua integrità, sapendo
che ci pone di fronte ad una “complessità” di modalità
e scelte dell’autore (più o meno consapevoli, ma sempre
scelte) e che ci indicherà una particolare visione, conoscenza,
formazione, facendoci scaturire “pensieri” e problematiche.
E che soprattutto ci fornirà una dialettica tra noi e il mondo
del Visibile e Non Visibile.
L’artista si mette da tramite, con la sua opera, per aiutarci a
percepire il mondo, ci rende parte integrante del processo
artistico, diventando anche, noi stessi, Artisti…


“La realtà autentica non risiede nelle apparenze spazio-
temporali, ma la realtà è la risultante della fusione tra
microcosmo (Atman) e macrocosmo (Brahman).


“(Il nostro sopra citato, Visibile e Non Visibile, che può
corrispondere anche ad un livello di Ying e Yang).”

Si tratta della dottrina della non-dualità, secondo la quale
esiste una sostanziale identità tra la scintilla sacra presente
all’interno di tutto ciò che vive in modo apparentemente
autonomo e l’infinito cosmico.

La meta ultima è la continuazione dell’esperienza che diventa
chiaramente soggettiva essendo intesa come fenomeno e
percezione di esso, in esso (del fenomeno dentro se stesso).
Solo così si può capirne la grandezza.

È poi auspicabile utilizzare dei termini di comparazione, ma
in questo caso non per porsi a un’analisi critica comparativa, o
meglio “in primis” vivendone singolarmente la loro grandezza.
E quindi se analisi critica ci deve essere, sia del fenomeno
dentro se stesso.
In secondo luogo, portare i termini di comparazione, ad
esempio utilizzandoli come estremi. Come riferimenti, come
coordinate, come ambiti, che conosciuti, “usufruiti”, Vissuti
ci portano davvero alla possibile conoscenza della realtà. Per
lo meno di quella racchiusa tra quei termini di paragone presi
in considerazione.
Tra quelle coordinate in cui vive il sistema considerato e quindi
la percezione dello stesso.
È come se avessi ad esempio quattro angoli, dove in uno c’è
il sole, in quello opposto c’è nuvoloso, nell’altro la pioggia e
nell’altro la neve.
Innanzitutto “godo”, “vivo” delle singole sacre esperienze,
del sole, della pioggia, delle nuvole, della neve. Ma se voglio
avere un’idea di cos’è il tempo meteorologico, in questo caso
dettato da questi quattro ambiti considerati (ben diversi l’uno
dall’altro, ma facenti parte dello stesso contesto), devo far
interagire i quattro ambiti.
Stare nel mezzo, nel punto di congiunzione. Ed è solo lì che
potrò farmi una certa idea del tempo meteorologico.

Ora, noi, utilizziamo l’Arte…

Quattro opere,
Quattro fenomeni,
le loro realtà,

- la loro percezione, dà luogo a degli ambienti che vengono
usati per darci degli ambiti e delle coordinate.
È come se ogni coordinata fosse una realtà. Come se ognuna
fosse un modo di vedere la vita. Ma per capirne, per intuire,
è nel centro, nel punto della loro intersezione, nel crogiuolo,
che bisogna stare.
Solo lì avrò la possibilità di poter usufruire dei singoli
fenomeni (in questo esempio quattro fenomeni), e di vivere
nel contempo la Realtà nel modo più completo.


Le coordinate in esempio:

V. Kandinskij: dallo “studio dello scarabocchio” al “punto,
linea, superficie”.
All’ipotetico opposto il lavoro di R. Magritte:
composizioni surreali con “simboli” e con spunti iper-
realistici (fotografare pittoricamente la realtà, ad esempio: il
bicchiere).

Le altre due “opposte” coordinate ci vengono fornite da
un’opera dell’espressionista tedesco; Otto Dix: la pittura,
la pittura raffigurativa comunque, per quanto contenga, è
comunque considerata la “classica” pittura, l’esempio che ai
più significa pittura.
Dall’altra parte J.M. Basquit: il non artista o l’artista, niente
“tecnica” ma espressione, voglia di buttar fuori, d’esprimersi,
d’arte, di, con i suoi “mezzi tecnici”, lanciare messaggi o
semplicemente fare.


Guardiamo singolarmente le immagini, magari alternando le opposte.
Ma godiamone singolarmente.
Viviamo ogni realtà “opera d’arte” singolarmente. Godiamo di ogni fenomeno come tale, quindi fissiamo per qualche decina di secondi un’immagine. Poi passiamo alla sua opposta, senza guardare le altre e senza paragonarla a quella di prima.
Usufruiamo delle singole realtà artistiche, automaticamente si apriranno gli ambiti e ci ritroveremo nel mezzo, nel crogiolo.






- i cerchi rappresentano gli “insiemi”, gli ambiti, tutto quello
che scaturisce da quell’ opera messa a rappresentanza di
quell’ambito.
- il punto di tangenza dei cerchi è quello che chiamiamo
“crogiuolo”.

In questo punto (nel crogiuolo) le variabili di percezione aumentano sempre più… e allargano le nostre possibilità di vissuto, e ci fanno capire quanto quella dimensione tra microcosmo e macrocosmo (Realtà) sia immensa.

A questo punto si può intuire perfino qualcosa di altre
percezioni, di realtà esistenti con altri termini di paragone, con
simili coordinate, sicuramente diverse, ma tendenzialmente
appartenenti ai vari, stessi ambiti, senza mai dimenticare
come ogni essere vivente abbia le proprie Realtà e come sia
l’unica vera, e come tante politiche siano tentativi di negare la
grandezza e la sacralità di ogni individuo.

Sentire dire o dirsi, con certi toni, oggi giorno: sono italiano, è
russo, sono americano, è africano, è indiano… È un’offesa…
a ognuno che capisca minimamente di vivere nella realtà.
È interessante questa storiella su un agricoltore finlandese.
Quando si stava tracciando il confine russo-finnico,
l’agricoltore doveva decidere se preferiva stare in Russia o in
Finlandia, ma non voleva offendere gli ufficiali russi. Questi
vennero a fargli visita, e vollero sapere perché voleva stare in
Finlandia.
Il contadino rispose: “È sempre stato mio desiderio vivere
nella Grande Madre Russia, ma credo che alla mia età non
sopporterei un altro inverno russo.”

Finlandia, Russia, solo parole, che turbano la realtà, che ci
fanno restringere gli ambiti, e di conseguenza non conoscerne
di altri.
Questo per farci capire quanto stare bloccati negli “insiemi”,
negli ambiti ci tenga lontano dalla possibilità di capire e vivere
la Realtà.


La GRANDE REALTÀ
La grande realtà è quella componente che si trova nella
“nostra singola realtà di individui” e che ci lega a ogni altro
essere vivente.
È come se nella nostra realtà esistesse un piccola molecola di
essa (la GRANDE REALTÀ), una scintilla sacra chiamata “del
SÉ”, che ci unisce tutti. Solo che pochi possono sentirla…
Per sentirla bisogna innanzitutto fare questo esercizio:
Scrivere una nostra descrizione…
Ora dovete leggerla…
… la state leggendo… Siete voi che vi descrivete.
È come se da fuori o dentro di voi (dipende da quanto
più vi “sviscerate”), vi raccontiate, nel modo più completo
o simpatico o fantasioso. In ogni caso siete Voi che vi state
guardando.
Cioè come il vostro IO, la parte che scrive, descrive il vostro
ME (chiamiamo così la vostra “sovrastruttura”, il come
siete composti), il come vi vedete, ad esempio: acculturati,
divertenti, gentili… grassi, magri, tonici…
Dall’IO, è venuta fuori la vostra costruzione di voi stessi: il
ME. È come guardarsi allo specchio, il ME è quel disegno che
appare allo specchio, ma voi siete quello di carne, cioè il vostro IO.
Bene, è nell’IO per quanto intimamente e grandiosamente
singolo, che si può trovare l’unità del tutto, quello che lega il
tutto con tutti, tutti con tutto. Il SÉ.

Esempio: Tutti gli uomini sono fatti di carne…
Dal nostro ME spogliato di tutto, lasciato tutto, ogni cosa,
ogni rappresentazione di come mi vedo, di come sono, giungo
all’IO.
Il SÉ è un qualcosa che unisce tutti gli IO a qualcosa di
comune e rispettoso e integrante di ogni singola peculiarità (a
ogni IO). Questa particella che nell’IO ci unisce a tutte le cose
e a tutti i tempi e gli spazi è il SÉ.
Conosciuto in alcune religioni come il sacro OM, che ci pone
singolarmente come parte passiva e attiva irrinunciabile del
tutto. Ogni molecola che compone l’universo è componente
di esso, senza di essa l’universo non esisterebbe.
Ed è quindi legata, concatenata ad esso. Singola,
complementare, grandiosa, sempre nei tempi dei tempi.
 
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